Uno dei dibattiti al centro dell’attenzione pubblica sulla sostenibilità ambientale è proprio quello relativo al packaging e ai sacchetti.
I materiali più usati nel mondo commerciale e non, per imballare o per contenere i nostri oggetti sono la plastica, il cotone e la carta.
Gli stessi prodotti però hanno caratteristiche e storie diverse, dimostrandoci così ciò che tutti e tre apportano al pianeta, in termini di benefici e danni.
La carta come primo materiale di produzione
Originariamente, la carta è sempre stata il materiale prediletto per la produzione di borse, essendo esso più resistente, meno nocivo e riuscendo ad assorbire meglio l’umidità.
Nonostante questo, anche la carta è simbolo di inquinamento e di mancanza di tutela nei confronti del pianeta.
Quest’ultima infatti richiede più tempo per essere riciclata, e necessita di un dispendio energetico molto più ingente rispetto a quanto sia richiesto per altri materiali.
Negli anni ’60 i supermercati, i negozi e la maggioranza degli esercizi commerciali si servivano di sacchi di carta, un prodotto che richiedeva l’abbattimento continuo di milioni di alberi.
Foreste e industrie della carta
Una grossa perdita per il nostro pianeta, che restava privo della sua più preziosa fonte di ossigeno e di vita.
Secondo una stima effettuata dal WWF per produrre un chilo di carta standard sono necessari 7 etti di cellulosa.
Questo significa che da un albero di quindici metri si possono produrre poco più di 79 mila fogli di carta.
Stando ai dati di Greenpeace, in Italia una famiglia di quattro persone consuma ogni anno un quantitativo di carta pari a 2 alberi.
L’unica via d’uscita è il riciclo, soprattutto se si pensa che quello della carta ha una resa molto alta, che può arrivare fino al 90%.
Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, soltanto fino al 2005, la quantità di alberi abbattuti nel mondo era pari a 435 milioni di m3 e il 37% di questo dato era destinato alla produzione di sacchetti di carta.
Nonostante questo però, molte aziende si stanno impegnando a riforestare e a salvaguardare il nostro Pianeta.
Le industrie che dipendono dagli alberi, infatti, hanno bisogno di foreste rigogliose. È nel loro interesse.
Nelle foreste gestite, per ogni albero abbattuto ci sono tre o quattro alberi ripiantati.
Secondo le stime, il mondo sviluppato ha oggi il 25% di alberi in più rispetto al 1901 e nella sola Europa la crescita annuale della superficie coperta da foreste è pari a 1,5 milioni di campi di calcio, anche grazie a piattaforme web nate negli ultimi anni come Ecosia.
Sembra strano, ma è un dato di fatto: la domanda di carta sostiene la crescita delle foreste e questo porta ad un ciclo continuo che non si ferma.
Salvare il pianeta inventando i sacchetti di plastica
A tal proposito, Sten Gustaf Thulin, un ingegnere svedese, in quegli stessi anni pensò di produrre una borsa diversa.
Economica, leggera e resistente da riutilizzare più volte, così da non danneggiare il nostro ecosistema.
Per produrre i sacchetti di plastica sono necessarie, di fatti, piccole quantità di petrolio e un consumo minimo di energia.
L’idea ebbe successo e a partire dal 1979 la carta venne sostituita con la plastica, facendo sì che si iniziassero a produrre migliaia e migliaia di sacchetti con questo materiale.
Originariamente, i sacchetti di plastica dovevano essere amici del pianeta dunque.
Ma il loro inventore non poteva immaginare di aver innescato la più grande crisi di inquinamento degli oceani.
Simbolo della tragica impronta dell’uomo sulla Terra infatti, il sacchetto di plastica è considerato tra le cause principali del cambiamento climatico e della morte di numerose speci animale.
L’idea iniziale però era completamente l’opposto rispetto a quello che accade oggi.
Thulin infatti aveva ideato una borsa di plastica “eterna”, da non buttare mai e soprattutto da non disperdere nell’ambiente, rendendo così più facile il suo riuso.
L’introduzione della plastica biodegradabile
A decorrere dal 1° gennaio 2018 però, è entrata in vigore in Italia una legge che regolamenta l’uso dei sacchetti di plastica leggeri e ultraleggeri.
Questi sacchetti devono essere biodegradabili e vengono pagati dai consumatori.
Devono essere sia biodegradabili che compostabili, in modo tale da non nuocere all’ambiente.
La comparsa sul mercato delle materie plastiche biodegradabili però risale all’inizio degli anni novanta, quando lo sviluppo di questi nuovi materiali fu stimolato da due concause.
La constatazione che il materiale plastico ha un impatto negativo sull’ambiente e la nascita del nuovo settore di ricerca della cosiddetta chimica verde, con l’utilizzo di materiali derivanti da materie materie prime di origine naturale.
Ma vi siete mai chiesti di che cosa sono fatti i sacchi biodegradabili? Molto spesso il materiale di partenza è amido di alcune piante (patate, mais, grano o tapioca) ma esistono anche bioplastiche prodotte da fermentazioni di zuccheri o lipidi.
La soluzione ecofriendly è il cotone?
Penserete che quindi il rimedio per salvare l’ambiente è l’utilizzo delle shopping bag di cotone.
Ma non è così.
Le borse di cotone sono, se possibile, ancora meno invitanti.
Le sue colture intensive, infatti, richiedono una idratazione molto importante.
Se si tiene conto dell’insieme degli impatti ambientali al di là di quello dello smaltimento, cioè dell’impatto ambientale della produzione della materia prima, della filatura, tessitura, confezione, tintura e trasporto, la borsa avrà un impatto maggiore. Anzi, molto maggiore.
Il cotone viene considerato uno dei materiali più eco compatibili, ma ciò è realmente vero solo per quello biologico, in quanto per lavorare il filato comune e renderlo bianco e pulito, viene utilizzata una enorme quantità di acqua.
Basti pensare che per produrre un chilo di cotone sono necessari 11.000 litri di acqua e per una sola tote bag ne dovremmo utilizzare 2.700.
Anche se certamente la borsa di cotone può sembrare più duratura e più resistente, anch’essa non dura tutta la vita.
Prima o poi anche il cotone dovrà essere smaltito e ci troveremo di fronte a tempi eterni e dannosi per il nostro Pianeta.
Tra tutti i tessuti, il cotone è il più biodegradabile, è naturale, poichè ricavato da una pianta, ma il tempo che serve a eliminarlo è di almeno 6 mesi.
Da quando è esploso il dibattito pubblico intorno al cambiamento climatico, non ci siamo mai resi conti che borse di carta e cotone sono nettamente più impattanti a livello ambientale, rispetto alla plastica.
Questo perchè ci si focalizza solo sull’effetto finale dei materiali sull’ambiente, e non sull’intero processo di produzione.
Cosa possiamo riciclare?
É importante soffermarsi anche su quali di questi materiali possono essere riciclati, per incentivare l’ecosostenibilità.
Per quanto riguarda la plastica, non tutti i tipi di essa possono essere riciclata.
Le tipologie di plastica riciclabile grazie alla raccolta differenziata sono 7. Ciascuna è identificata da un codice riportato anche sulla confezione del prodotto o dell’oggetto.
Possiamo riconoscere le modalità di riciclo anche tramite il colore della plastica: quella bianca avrà questa possibilità, mentre quella colorata no.
La stessa differenziazione avviene per la carta: se la carta, o cartone e cartoncino è stata sporcata non può essere differenziata.
Sfortunatamente invece, riciclare prodotti di cotone per crearne di nuovi non è semplice. Occorre infatti tagliare i vecchi capi e trasformarli in materia prima, attraverso un processo che abbassa la qualità del cotone perché accorcia la lunghezze delle fibre.
Ma allora quale borsa dovremmo usare? Tu quale sceglieresti?
Una cosa è certa, qualsiasi materiale decidiamo di utilizzare è importante il riciclo, il riuso e la consapevolezza.