Quando arriva la bella stagione, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, ogni anno ritorna la possibilità di periodi più o meno lunghi di siccità.
Sentiamo parlare dei problemi per l’agricoltura, delle varie restrizioni che i governi decidono di adottare per far durare il più possibile la ridotta quantità di acqua. Raramente, a meno che non ci siano situazioni estreme, vengono citati gli animali e l’impatto che la siccità avrà anche su di loro.
Ci si preoccupa per i propri animali domestici, ma non degli animali in libertà, lasciati soli a combattere un habitat diventato per loro sempre meno ospitale.
A questo proposito diverse associazioni, tra cui Woodland Trust UK, hanno rilasciato dei consigli su come assistere gli animali in caso di siccità. Per esempio si può aiutare insetti impollinatori come le api dando loro acqua senza farli annegare (mettendo delle piccole pietre perché loro si possano appoggiare). Oppure, se si ha la fortuna di avere un giardino, creare dei ripari per i piccoli mammiferi come i ricci o gli scoiattoli.
Allevamenti intensivi e siccità, un problema complesso
I primi animali a cui dovremmo pensare quando parliamo di siccità sono quelli tenuti negli allevamenti intensivi. In primo luogo perché, come sostiene Greenpeace , il 60% dei mammiferi sul pianeta sono animali da allevamento e il 70% degli uccelli sono pollame da allevamento.
L’impatto della siccità su queste aziende è, come denunciano spesso gli agricoltori, una vera calamità sia economica che ambientale.
Purtroppo è ormai evidente che queste aziende creano spesso problemi che hanno un forte impatto sulle falde acquifere.
Il New York Times nel 2023 ha investigato sulle cause e le conseguenze della scomparsa delle acque con una serie di articoli chiamati “Uncharted Waters”. L’uso eccessivo ha portato a danni e secchezza delle falde acquifere che portano acqua a circa il 90% degli acquedotti degli USA.
Uno dei maggiori responsabili per questa situazione è l’industria alimentare, sopratutto gli allevamenti intensivi di polli, mucche e maiali. In molte aree le tradizionali coltivazioni sono ora rimpiazzate da piantagioni di soia per nutrire i polli o di erba medica, una pianta per nutrire il bestiame, entrambe coltivazioni che richiedono molta irrigazione.
Questi cambiamenti sono legati all’evolversi delle dieta negli USA. Dagli anni ’80 il consumo di formaggio per persona si è raddoppiato, soprattutto mozzarella da pizza. Inoltre, nel 2022 l’Americano medio ha mangiato 45 kg (100 pounds) di pollo, il doppio del consumo di 40 anni fa.
Inquinamento delle acque
Un altro danno causato dagli allevamenti intensivi è reso evidente dalla situazione del fiume Ter in Spagna, nella comarca di Osona.
Qui, circa la metà delle fontane han smesso di funzionare a causa della siccità e di quelle rimanenti circa il 40% è inquinato dai nitrati, risultato dell’eccessivo scarico di escrementi suini nelle acque. Secondo il Grup de defensa del Ter, il livello medio di nitrati risultante dalle analisi è di 58 mg/L, superiore alla soglia di 50mg/L indicata dal WHO.
Il problema scaturisce dall’alta diffusione di allevamenti suini presenti nella zona, con una popolazione di maiali tale da superare di 7 volte quella dei residenti umani. Una popolazione, quella suina, che consuma (proprio a causa della sua enorme presenza) più acqua della popolazione umana, esasperando quindi il problema della siccità.
Anche in Italia, come illustrato in un articolo di Irpimedia e in un loro video girato nella provincia di Mantova, sono stati trovati alti livelli di nitrati. Causati, anche qui, dall’alta presenza di aziende zootecniche nel territorio.
Diritti degli animali
Ovviamente però il problema principale con gli allevamenti intensivi rimane quello dei diritti degli animali stessi, le condizioni crudeli in cui sono costretti a sopravvivere.
Uno dei primi ad evidenziare questa situazione è stato Peter Singer nel 1975. Scrisse il rivoluzionario “Animal Liberation: A New Ethics for Our Treatment of Animals” , parlando delle dure condizioni dei vari animali nei laboratori e nelle fattorie.
In una recente intervista Singer ricorda anche che un fattore critico verso il miglioramento delle condizioni degli animali è il cambiamento delle leggi nei territori coinvolti.
A questo proposito evidenzia la differenza tra le legislazioni dell’ UE e quelle federali degli Stati Uniti. Le seconde sono molto meno avanzate e dipendenti dai giochi di potere delle lobby dell’agricoltura. Queste lobby sono, tristemente, abbastanza potenti da impedire riforme essenziali.
Cambiare le leggi è un passo importante da raggiungere per far smettere o almeno ridurre lo sfruttamento di molte specie animali, come dimostrato dal miglioramento avvenuto nei Paesi dell’UE dopo il divieto di testare cosmetici sugli animali.
Cambiamento nella coscienza collettiva
Perché la coscienza collettiva cambi ci deve essere, come ha evidenziato anche in una recente intervista Jane Goodall (una delle più famose attiviste per gli animali), un diverso approccio individuale. Soprattutto nel modo in cui vediamo molti animali in quanto funzionali alla nostra esistenza. Dobbiamo smettere di considerarli solo come possibili animali da compagnia o da allevamento (o in alcuni casi entrambi) e ricordarci della loro intrinseca dignità.
Uno sforzo quotidiano verso una maggiore informazione su come migliorare il benessere degli animali, scelte di acquisto e politiche più consapevoli.
E una revisione del nostro approccio con il nostro cibo porterebbe l’ulteriore beneficio di contribuire a risolvere il problema della siccità.