In un mondo globale, dove crollano i limiti fisici e virtuali, siamo sommersi da informazioni e riferimenti culturali che arrivano da ogni dove. Tutto si mescola, sia virtualmente che fisicamente.
Siamo così inondati di informazioni che è quasi impossibile sapere quale significato potrebbe avere un oggetto. Un designer potrebbe trarre ispirazione da un copricapo visto su Google, durante un viaggio a Mumbai o una visita al mercatino delle pulci locale. Potrebbe, poi, non prendere in considerazione da dove viene, chi l’ha realizzato, perché, qual era il suo uso originale e in quale contesto.
Mentre in un mondo pre-globale nessuno avrebbe notato che un simbolo era stato utilizzato fuori dal suo contesto originale, in un mondo multiconnesso tutto è visibile. Chiunque potrebbe – giustamente – cercare di reclamarne la proprietà.
L’appropriazione culturale è un fenomeno che vede una cultura dominante impossessarsi in maniera impropria di un elemento tradizionale di un gruppo più debole, privandolo del proprio significato originario, per trarne un vantaggio economico. Oggetto di appropriazione culturale sono le manifestazioni culturali e i simboli della cultura, ossia abiti, danze, musiche, oggetti che veicolano una cultura.
Nonostante tendano ad essere considerati simboli di un passato antico, gli oggetti culturali tradizionali sono più che mai attuali. Sono l’espressione del potere di autodeterminazione e dell’autonomia di un gruppo, strumenti utili anche a definire le relazioni con il resto del mondo. Negoziano e riaffermano l’identità culturale e sociale in un contesto post-coloniale, nel quale la presenza e il ruolo di questi gruppi si riscrivono.
L’appropriazione e la decontestualizzazione degli oggetti culturali tradizionali da parte delle culture occidentali possono privare gli oggetti del proprio significato intrinseco, spogliandoli di sacralità e potere.
Le caratteristiche dell’appropriazione culturale
Come distinguere l’appropriazione culturale? Una delle sue caratteristiche è l’occasione di “scontro” e “sottrazione” di elementi identificativi di una cultura definibile come subalterna, ad opera di una egemonica. Per questa ragione molti studiosi considerano il fenomeno come una riproposizione delle logiche ed un pesante lascito del periodo coloniale.
Contestuale e conseguente alla sottrazione appena descritta è la dislocazione dell’oggetto culturale dal contesto originario: il simbolo cessa di essere manifestazione e si riduce a oggetto o merce.
Il terzo elemento è il mancato coinvolgimento della culture originaria nel processo produttivo, di commercializzazione o d’impiego della stessa. Questo può concretizzarsi nell’assenza di una preventiva autorizzazione, di una menzione come originali autori o nel mancato riconoscimento di un risarcimento in caso di uso inopportuno o denigratorio.
Il fenomeno nell’industria della moda
L’industria della moda è stata spesso accusata di appropriazione culturale. Non è estranea a forme di sfruttamento tramite le quali perpetua il colonialismo europeo, attraverso il dominio economico sul lavoro e il commercio dei paesi del terzo mondo a cui commissiona manodopera a basso costo.
Un esempio recente riguarda le proteste dei lavoratori in Bangladesh a seguito dello scoppio della pandemia. Con la chiusura dei negozi di tutto il mondo, i più grandi produttori nel settore dell’abbigliamento hanno cancellato i contratti con la manodopera, interrompendo i pagamenti. La forte dipendenza del terzo mondo dal primo mondo appare palese e di conseguenza innegabile.
Nella moda, il rapporto risulta ancora più complesso. Come è risaputo, il feticismo per le culture straniere va di pari passo con la nascita stessa della moda, fatta di ispirazione e di rielaborazione. Molte volte i grandi brand di moda europei hanno presentato collezioni ispirate o contaminati da culture straniere. La problematica sorge perché nella ideazione e produzione di esse raramente partecipano gli individui appartenenti a quella stessa cultura. I grandi marchi della moda europea si appropriano delle tecniche d’artigianato e dei capi tradizionali di culture straniere senza alcun riguardo o rispetto, per ricontestualizzare il tutto, riducendo la cultura a un feticcio.
Casi di appropriazione culturale nella moda
Nel 2015 Givenchy dedica una collezione allo stile delle Cola sudamericane, le ragazze che usano il look delle donne delle bande di latinos anni ’70 come strumento di rivendicazione e presa di potere. Riccardo Tisci, creative director del brand, fu ampiamente criticato perché la collezione sembrava un tentativo di rendere inoffensiva e di “white wash” la cultura degli immigrati sudamericani.
Nel 2018, la copertina del primo numero di Vogue Arabia aveva come protagonista la modella statunitense Gigi Hadid, con un velo ricamato posto sul viso. La direttrice Deena Aljuhani Abudlaziz è stata accusata di aver tentato di piegare un oggetto religioso ai gusti occidentali. L’aver coperto un simbolo del genere con un glamour superficiale e il non aver scelto una modella mediorientale ha causato una pioggia di critiche. Condé Nast ha poi sollevato la direttrice dall’incarico.
Nel 2015 la stilista francese Isabel Marant ha realizzato una collezione di abbigliamento femminile copiando il ricamo tradizionale huipil della popolazione messicana Mixe. I capi di Marant venivano venduti a 365 dollari, l’equivalente di 4500 pesos, mentre un abito tradizionale huipil ne costa 300. Antik Batik, altra popolare casa di moda, ha tentato di dimostrare che Isabel Marant avesse copiato da loro le bluse in stile huipil. Dopo una controversia legale, la Corte francese ha stabilito che né Marant né Antik Batik avrebbero più potuto utilizzare il ricamo Mixe. Nel 2016, poi, il congresso della provincia di Oaxaca, insieme all’UNESCO, ha definito i ricami, il design e la lingua Mixe un intoccabile patrimonio culturale.
Come evitare l’appropriazione culturale
Non si parla di appropriazione culturale nel momento in cui vi è un atto volontario di autorizzazione o cessione di diritti. Comprendere l’importanza del significato degli oggetti culturali tradizionali, evitando di svilirlo o collocarlo nel mero ambito della proprietà intellettuale, costituisce un buon punto di partenza. In questo modo si evita di arrecare un danno economico e morale.
Il twerking, le treccine, l’utilizzo di un velo sul capo, sono gesti che ormai fanno parte del nostro quotidiano. Il primo passaggio, fondamentale, è quello di informarsi, per poi chiedersi: sto arricchendo il mio bagaglio personale, o sto semplicemente seguendo una moda che non capisco?
Il bello della diversità è proprio il riuscire a imparare qualcosa di nuovo, andare oltre gli stereotipi e abbattere le barriere del pregiudizio. Tanto che si mantiene il rispetto per il diverso, che siano accessori, o simboli religiosi, può fare solo del bene alla nostra società, imparando a conoscere anche ciò di cui si ha paura.