Ernesto Neto, classe 1964, è un artista concettuale brasiliano. Le sue installazioni offrono allo spettatore la possibilità di toccare, vedere, annusare e sentire l’opera.
“Per me, mente e corpo sono una cosa, sempre insieme”, ha detto l’artista. “Credo nel corpo sensuale, ed è attraverso il movimento di tali corpi-menti che connettiamo le cose in questo mondo, nella vita: il modo in cui tocchiamo, il modo in cui ci sentiamo, il modo in cui pensiamo e il modo in cui ci occupiamo”.
La sua pratica esplora i confini dello spazio fisico e sociale attraverso strutture interattive, tattili e biomorfiche.
La produzione artistica più seguita di Ernesto Neto riguarda l’ultimo decennio e ha inizio in seguito a un’esperienza tra gli Huni Kuin, che ha dato il via alle grandi esibizioni dell’artista che hanno trovato spazio a Bilbao, a Vienna e a Zurigo e Bergamo.
The Body that Carries Me al Guggenheim di Bilbao
L’esperienza di Bilbao si è integrata tra gli spazi progettati da Frank Gehry prendendo vita secondo la struttura del museo.
L’architettura è incredibile e speciale, e per l’artista è stata una vera gioia toccarne gli spazi e i muri. Neto infatti lavora in modo ricorrente con la contrapposizione tra interno ed esterno, come se esistessero 2 spazi espositivi distinti.
La relazione vera e propria con il museo in questo caso è stata costruita dall’artista con l’interno e con le forze interiori che il museo gli comunicava. Ha definito la “forza interiore” del museo come qualcosa che brilla e che assorbe, utile per la sua opera artistica, che voleva coinvolgesse anche interiormente gli spettatori.
Possiamo spesso guardare l’esterno delle cose. Possiamo vedere l’involucro, la pelle, ma non cosa c’è dentro.
In fase di progettazione delle parti che avrebbero costituito la mostra, ha osservato la pianta del museo e in particolare il piano terra, concependo lo spazio alla stregua del corpo di un’ape e lavorando con in mente questa percezione.
L’atrio è la testa, le due gallerie le antenne, il corpo, le gambe, la gola, lo stomaco e la coda.
Ernesto Neto e gli Huni Kuin: Aru Kuxipa, Vienna
Per la mostra di Vienna ha lavorato su quanto aveva esperito nel suo viaggio tra gli Huni Kuin, rendendo percepibile la sua trasformazione interiore.
Dice del suo primo approccio con i Guarani:
Io ho vissuto a Rio, ho cantato sulla spiaggia, ho conosciuto un’amica che mi voleva portare dal payés (sciamano nelle tribu Guarani). Non sapevo bene dove fosse, comunque in mezzo alla foresta amazzonica. Vicino a Jordao. L’ho proposto alla mia famiglia e ci siamo andati, abbiamo dormito una notte in un villaggio arrivando nel mezzo della notte. Il giorno dopo quando mi sono svegliato, mi sono reso conto della miseria che mi circondava. Qualcosa mi diceva di andarmene. Poi alla sera è arrivato il momento della cerimonia sciamanica con la sacra medicina dei Huni Kuin in particolare la famosa ayahuasca. Ho sentito la forza incredibile, la foresta cantava e abbiamo passato una notte indimenticabile. Forse la più profonda notte di tutte.
Huni Kuin è il nome dell’etnia aborigena dell’Amazzonia. Sono amerindi che vivono nella foresta al confine tra Brasile e Perù. Nel loro linguaggio, il nome con cui si identificano significa “uomini veri”. E Aru Kuxipa significa “sacro segreto”, ma può voler dire anche altro, perché il loro è un linguaggio che oscilla tra differenti significati e contesti.
Secondo l’artista, chi vive nel mondo globalizzato ha abbandonato la sacralità del mondo, incamminandosi verso una modernità che ha oscurato il rapporto di armonia con la natura. La sacralità degli Huni Kuin sta nella loro natura. La sacralità è nel vento, nelle piante, nel sole, nei fiumi, nelle montagne, negli animali, negli insetti e in ogni altra creatura della terra. Ma il sacro segreto esiste anche in quello che diciamo, ed è anche nel nostro comportamento.
Chi vive nel mondo occidentale è abituato a contemplare nello specchio una sola parte di sé. Ed Ernesto Neto riflette sulla salute del genere umano, che avrebbe bisogno di recuperare un rapporto più profondo con l’interiorità.
La prima volta che Ernesto Neto portò uno sciamano a partecipare a un’opera artistica fu nel corso della mostra a Thyssen-Bornemisza, uno dei musei Nazionali di Madrid. Da allora continuò a farlo in tutte le sue installazioni.
A Vienna, in occasione della mostra del 2015 si trovò a sperimentare l’allestimento su diverse stanze.
In una c’erano le opere che aveva creato a Recife sulla forza di gravità.
Queste opere partono dal pavimento e comprendevano un’amaca e uno spazio con delle maracas provenienti da molti villaggi Huni Kuin, oltre a una vera e propria sala Copichaua minuziosamente riprodotta, con una copertura di paglia. Si tratta di uno spazio polivalente per cerimonie e incontri sociali.
In un’altra sala era stata allestita la stanza dello sciamano nella quale 4 amache che creano una geometria sacra.
Proprio qui sono stati ospitati dei rappresentanti della tribù, per parlare al pubblico del loro ambiente e della loro vita.
Tale concezione espositiva mira alla trasformazione per una nuova umanità.
GaiaMotherTree, Zurigo 2018
Nel 2018 Ernesto Neto è passato a una scultura di proporzioni monumentali, con la Gaia Madre Terra alla stazione di Zurigo, alta 20 metri.
Si tratta di un tempio o un centro spirituale di meditazione.
La gente che, giunta alla stazione dei treni, camminava intorno all’installazione, riceveva un invito a connettersi con la terra e l’elemento naturale.
In questo contesto Neto si sente un operatore in connessione energetica con l’umanità e la vita sulla terra. L’albero è importante nella concezione artistica dell’artista perché ha ‘una mano nella terra e una nel cielo’, un’estremità immersa nel buio più totale e una alla ricerca del sole. Questa immagine porta in sé tutti gli opposti complementari: il giorno e la notte, yin e yang. È la mano della Madre Terra che trapassa il suo creato.
Quest’opera contiene un messaggio anche sull’importanza della foresta amazzonica e il suo ruolo nell’ossigenazione del pianeta. Anche il luogo febbricitante e caotico, la stazione di Zurigo, serve per ricordarlo.
Il grande principio della Madre Terra sono le braccia aperte, e comunica uno stato di meditazione e di respiro. Gaia è un tempio: la vita stessa è un grande tempio.
La nostra potenza mentale di umani e la capacità logica e è enorme, così come il ruolo della cultura nei nostri comportamenti. Questa attitudine, secondo Ernesto Neto, è la causa della guerra, poiché “solo nell’ascolto del corpo c’è preghiera, danza, gratitudine e tutto l’amore e le opportunità che ci dà la terra e la nostra esistenza.”
L’esperienza dell’artista è stata portata di recente anche in Italia, al Palazzo della Ragione di Bergamo, in occasione del GAMeC 2021, con l’opera Mentre la Vita ci Respira.