Marina DeBris, l’inquinamento dei mari rinasce arte

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Belen Espino

L’arte di Marina DeBris nasce dall’esigenza di accendere una luce sul crescente problema della spazzatura oceanica e delle dispendiose (per il pianeta) e distruttive abitudine umane. Per farlo utilizza appunto in chiave artistica i detriti abbandonati dall’uomo, lavorati dalle acque e restituitici sulle rive dei nostri mari; come fossero posseduti da un incantesimo malvagio e volessero tornare a perseguitarci.

In concomitanza con la stesura dell’articolo, nonostante il vento freddo che sferzava violentemente dal mare, ho fatto una passeggiata sulla spiaggia. Il mare non balneare ha un fascino irresistibile: il cielo burrascoso, le onde potenti, i gabbiani sulla spiaggia. La scena sarebbe stata bellissima se non avessi notato già ad una certa distanza una quantità notevole di oggetti colorati sulla battigia: immondizia. Bottiglie di plastica, di vetro, lattine, brick di succhi, polistirolo, giocattoli vari o parti di oggetti non meglio identificati ormai in avanzato stato di degrado. Perfino un fiasco di vino che galleggiava nel fiume nei pressi del porto, la corrente impediva alle acque di confluire in mare.

Raccolgo spesso i rifiuti abbandonati in natura, ma quella mattina ero impreparata: non avevo nulla con me per poterli portare via ed è stato frustrante limitarsi a raccoglierli e deporli in un posto sicuro, un cantiere sulla spiaggia, dove sapevo che non sarebbero volati via, ma sarebbero poi stati recuperati e gettati.

Ho immediatamente scorso nella mia mente le immagini dei suoi lavori che avevo visionato in fase di ricerca e ho pensato al suo lavoro metodico di raccolta e catalogazione con profonda ammirazione. È stato davvero un onore per me poterla intervistare.

Marina DeBris veste Black Widow,
(ritratto di Louie Douvis)

Come ha iniziato la sua carriera artistica?

Mi sono interessata all’arte da quando ho memoria! Mia madre era una fotografa e ci trascinava spesso per musei quando eravamo molto giovani. Anche se allora non mi piaceva, ovviamente l’ho apprezzato pienamente nella mia vita adulta.

Durante la mia crescita ero solita realizzare vestiti, progetti artigianali e mi sono interessato in particolare alla lavorazione dei metalli durante il liceo. Ho frequentato l’Università dell’Indiana per studiare con Alma Eikerman, che purtroppo però lei lasciò poco dopo il mio arrivo. Ho seguito un corso di Graphic Design, e quella è diventata la mia nuova passione. Poi ho avuto la fortuna di andare al RISD (Rhode Island School of Design, nda), dove ne ho anche approfondito lo studio. Mi sono poi trasferita a New York subito dopo la scuola d’arte e quella è stata la mia carriera fino a poco tempo fa, quando sono stata in grado di sopravvivere esclusivamente con la mia arte.

Come le è arrivata l’ispirazione di trasformare la spazzatura in arte?

L’ispirazione è arrivata con il mio trasferimento da Bondi Beach, Australia, a Venice Beach in California (USA). Ho istantaneamente notato tutta la spazzatura che si depositava sulle spiagge. Mi sono impegnata con organizzazioni per la difesa dell’oceano e iniziato a creare pezzi bidimensionai e tridimensionali con quello che trovavo. Era il 2009, e da allora non ho mai smesso (e così purtroppo anche il flusso di rifiuti).

Marina DeBris, pezzi di plastica ricuperati da Gordon’s Bay che sembrano
avere qualche tipo di segni di morsi

Questa nobilitazione del rifiuto crede che abbia effetti esclusivamente positivi e illuminanti o rischia di far sottovalutare il problema?

È comprovato che l’arte connette le persone, ma nel caso di un problema così serio e urgente, non pensa che si corra il rischio di concentrare l’attenzione sull’aspetto manifatturiero e lasciare in secondo piano il messaggio?

Sì, può sicuramente essere problematico. Proprio per questo non altero i materiali e uso oggetti che sono ovviamente ripugnanti. Per esempio, il vestito “Feeding Frenzy” (“Frenesia Alimentare”) ha un assorbente usato o un pannolino per la parte superiore. È coperto di alghe per essere stato nell’oceano così a lungo. Nell’installazione “The Inconvenience Store” (“Il Negozio Inconveniente”, con l’accezione di disagiato, nda) ho una scatola di mozziconi di sigaretta, tamponi e assorbenti usati, tutti sigillati (tra i materiali di imballaggio trovati).

Mi preoccupa la tendenza delle “sfilate trashion” in cui semplicemente “riciclano” materiali che normalmente sarebbero stati scartati o riciclati, poiché il messaggio dovrebbe riguardare il più possibile il non utilizzo di articoli monouso.

Marina DeBris al Museo Marittimo, Darling Harbour CREDIT:LOUIE DOUVIS

Ho adorato la sua definizione di “frustrated fashion designer” perché purtroppo è proprio così: per chi ha una forte consapevolezza ambientale è difficile creare qualcosa di “nuovo”, conoscendo tutto il processo di sfruttamento delle risorse che c’è a monte e i problemi di smaltimento a valle.

Cosa consiglierebbe ai giovani artisti che vorrebbero intraprendere la sua strada?

Consiglio a tutti i giovani (e anziani!) di seguire la propria passione, soprattutto quando quella passione riguarda un futuro sostenibile. Penso che sia fondamentale che tutti noi usiamo i nostri talenti (qualunque essi siano) per il miglioramento degli animali (compreso l’animale umano) che condividono questo pianeta.

Utilizza i suoi ritrovamenti esattamente come vengono trovati , nel modo in cui l’acqua li conduce a riva (ovvero non li lava). Il degrado, l’odore e lo sporco illustrano perfettamente la gravità del problema. È un aspetto che ritengo molto significativo nel suo processo creativo, che rende il suo lavoro “vivo”. Questo è stato questo il suo metodo fin dall’inizio?

Sì, il motivo per cui non altero mai nessuno dei materiali è che la realtà del problema è ovvia. Non mi sono mai mossa da questa posizione e spero che l’evidenziazione di quanto sia brutta la spazzatura lo trasmetta.

Qual è l’opera che ritiene più rappresentativa, a cui è più affezionata?

“The Inconvenience Store” è un’installazione che ho creato nel 2017 che è come un minimarket, solo che tutta la “merce” è stata raccolta al largo della spiaggia e riconfezionata in materiali trovati. Ha ottenuto 3 premi, tra cui Peoples Choice al Sydneys Sculpture By the Sea. Penso che sia stato il mio pezzo di maggior successo in termini di sensibilizzazione.

Marina DeBris, oggetti ricuperati ed esposti a
The Inconvenience Store, Bondi 2017

Se non fosse stata un’artista, cosa farebbe?  Come avrebbe declinato il suo impegno per l’ambiente?

Mi sono formato come grafico, ma sono stato coinvolto in questioni di giustizia sociale prima della questione dell’oceano, anche se solo in piccola parte attraverso le proteste. Uno dei miei primi lavori è stato The Trucker Boy, uno scherzo ironico, ma allo stesso tempo un commento serio sul sessismo.

Per seguire Marina DeBris e le sue creazioni dai rifiuti:

Instagram: https://www.instagram.com/marinadebris/

Website: http://washedup.us/

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