Murmure è un collettivo artistico francese nato nel 2009. Le opere di street art fanno parte di un progetto in continua evoluzione, il cui intento è quello di raccontare storie, colpendo il passante con umorismo e cinismo o costringendolo a riflettere sul degrado urbano e l’emarginazione sociale. Un progetto che sfrutta e gioca con lo spazio urbano per raccontare la metropoli contemporanea, denunciandone le storture o ironizzando sui suoi lati grotteschi.
Prima di raccontarvi della loro ultima opera ambientale, faremo un tuffo nella street art.
Vista urbana
Basta notare uno stencil sul marciapiede, un adesivo su una cassetta della posta o una scultura metallica incollata a un cartello stradale, che subito ci si sente trasportare in un mondo diverso. In una vibrante sottocultura che si infiltra nella monotonia del quotidiano e la elimina. Nel momento in cui ci si mette a cercare segni di creatività in posti inattesi, anche recarsi in ufficio o fare un salto al supermercato diventano un’avventura.
Gli artisti della Street Art lavorano liberamente per le strade urbane, spesso anonimi, senza curarsi di cosa ne pensi il resto del mondo. La loro arte la regalano, scrollandosi di dosso le pressioni economiche che dominano i musei e le mostre. Lavorando all’aperto, hanno pochi minuti per creare un capolavoro senza rischiare l’arresto. Le opere magiche ed effimere che ci lasciano da ammirare potranno durare qualche minuto o forse qualche giorno. Inoltre, continuamente cambiate dagli agenti atmosferici.
L’ambiente come una tela
Ciò che cattura l’immaginazione è proprio questo connubio tra l’ambiente cittadino e gli artisti che lo vedono come una gigantesca tela da dipingere. Mai nella storia dell’arte pubblica aveva raggiunto una scala dimensionale quale quella raggiunta oggi da Blu, né era mai stata pervasiva come in Shepard Fairey, o tanto presa a modello come quella di Bansky, o delicata come quella di Swoon.
In questi artisti è innata l’idea che immagini e idee vadano recepite, manipolate e infine trasmesse gratuitamente in tutto il mondo. Per loro, la rapida scomparsa degli spazi pubblici è una tragedia. Li tormenta l’idea che il fianco di un edificio possa diventare proprietà di un’azienda, che i cartelloni pubblicitari proliferano come topi, che l’arte finanziata con fondi pubblici sia spesso frutto di compromessi su compromessi. Con ogni loro opera di arte pubblica gratuita, riconquistano un angolo di città svenduto alle agenzie pubblicitarie.
La Street Art non è vandalismo
Molte persone tacciano troppo sbrigativamente la Street Art di vandalismo. Partono erroneamente dal presupposto che questi artisti deturpano edifici bellissimi. Invece, molti di loro lavorano in quartieri malandati e abbelliscono edifici dimenticati. Vanno in cerca di muri con l’intonaco che cade a pezzi contornati da marciapiedi invasi dalle erbacce, e il loro obiettivo è rendere belli questi luoghi creando qualcosa di davvero speciale. Sono convinti infatti che l’arte sia un valore aggiunto, che ridà energie vitali a strutture in disfacimento. Se si sovrappone un’opera d’arte a un’insulsa pubblicità che tappezza tutta la città, perché la comunità dovrebbe prendersela? Se si abbellisce una porta ormai marcia, perché il proprietario non manifesta gratitudine?
L’arte urbana e il rapporto con la tecnologia
Nel corso degli anni, la tecnologia ha avuto un ruolo cruciale nel rapido sviluppo dell’arte pubblica non autorizzata. La disponibilità di macchine fotografiche digitali a poco prezzo permette di documentare e condividere ogni opera. Incoraggiando l’artista a puntare più in alto, a fare qualcosa di più grande e più bello. Inoltre, le nuove tecnologie hanno reso multiformi le competenze degli artisti stessi.
Mai prima d’ora un movimento artistico aveva sviluppato tante interazioni, e tanto in fretta. Internet, insieme alla fotocamera digitale, permette agli artisti di vedere le opere di tutto il mondo da un giorno all’altro. Grazie alla condivisione delle loro storie, si è venuta a creare una forte comunità. Questa spinge l’artista a produrre materiali più resistenti alle intemperie e a portare avanti i propri ideali.
Un senso di comunità
Infatti, l’elemento di gran lunga preponderante di questo movimento è il senso di comunità. Né è nato un codice non scritto che unisce i suoi esponenti. Può trattarsi di qualcosa di semplice, come per esempio offrire un letto o un divano a un collega itinerante. Oppure offrire il proprio lavoro per un’opera di gruppo. L’osservatore sa che la città è viva e che gli artisti non potranno fare a meno di creare queste opere d’arte. In ultima analisi, l’essenza di questo movimento è una visione comune del mondo e la convinzione che piccoli gesti possono fare la differenza.
Il messaggio della Street Art
Il messaggio comporta una provocazione che invita tutti a mettere in dubbio la ‘realtà’ fondata sul consenso. La Street Art, accogliendo stimoli sia dalla recente stirpe dei graffiti che dalla meno nota storia degli assalti della controcultura moderna contro lo status-quo, sovverte l’esperienza urbana regolamentata per meglio diffondere questo ‘esercizio del dubbio’. L’arte pubblica non commissionata agisce in questo spazio di dubbio e di indagine.
Recuperi ambientali
La giornalista Frances Zunmiller (1913-1986), nota per i suoi articoli sulle zone rurali, definì giustamente le zone selvagge come una distesa psicologica in cui ‘un uomo può camminare senza mai sconfinare in una proprietà privata’. Lo sconfinamento nel paesaggio urbano contemporaneo restituisce sotto molti profili la possibilità di creare ‘aree selvagge’ all’interno della società.
Proviamo a fare una cartografia degli spazi in cui l’arte viene proposta negli ambienti pubblici. Vi sono luoghi nodali come ritrovi e locali, oppure crocevia. Luoghi interstiziali, ovvero quelli in cui l’arte si insinua e si nasconde nelle fessure lasciate libere. Luoghi abbandonati, dove l’arte viene a occupare la traumatica storia di quel che è ‘rimasto’. Qui essa invoca un’alternativa: visione utopistica sovrapposta a una distopia urbana fatta di alienazione e disaffezione. A volte pratici, spesso politici, nel migliore dei casi poetici, gli interventi di alcuni arcadiani sublimano nella scelta mondana o post-naturalista di trasformare l’arte in un fattore ambientale; ne deriva così un’estasi contrapposta alla ragione.
“Garbage Tail”: l’artwork di Murmure Street per gli oceani
Il duo francese Murmure Street composto da Paul Ressencourt e Simon Roche ha ultimato, poco più di due mesi fa, un bellissimo artwork realizzato in collaborazione con l’IPAF Festival nel quartiere Terres Sainville di Fort-de-France in Martinica.
L’artwork si intitola “Garbage Tail”, ed è una continuazione della loro serie “Garb-age” che si pone come obiettivo quello di sensibilizzare lo spettatore su un tema molto delicato come l’inquinamento.
“Garbage Tail” è interamente realizzata in acrilico e pennello con una resa volutamente realistica capace di catturare lo sguardo e allo stesso tempo lanciare un messaggio molto chiaro.
Il tema di quest’anno era infatti: “Gli uomini e il Mar dei Caraibi”.
Il messaggio dell’opera
Un rapporto quello tra l’uomo e il mare sempre più complesso e quest’opera ci ricorda gli studi scientifici che indicano che entro il 2050 gli oceani avranno più rifiuti che pesci, se non invertiamo la rotta.
E a pagare il prezzo più alto saranno tutte quelle specie bellissime, che tutti noi ammiriamo ma che a causa delle microplastiche, dell’inquinamento in generale, rischiano di sparire nel nulla.
L’artwork “Garbage Tail” realizzato dal duo francese vuole appunto accentuare e parlare di questo aspetto.
Come la punta di un iceberg, la coda della balena è l’unica parte visibile dell’animale, a simboleggiare il problema dell’inquinamento e quanto sia ormai evidente. La coda è avvolta da un sacco della spazzatura, rendendo l’opera ancora più provocatoria. Perché se la presenza della plastica è nota a tutti, buona parte di essa rimane invisibile sotto forma di particelle microscopiche nell’acqua ma altrettanto pericolosa.
‘Al contrario degli uomini l’oceano si ritira perché il mare conservi i suoi pesci’ Pierre Dac