Come riconoscere un artista sostenibile in 5 modi

Translation
Belen Espino

Come deve essere un’opera per definirsi ecosostenibile oltre al concetto

La definizione di arte ecologica esiste dagli anni Sessanta, ma è soprattutto negli ultimi anni che si avverte la necessità di disciplinare cosa sia questa corrente artistica e come riconoscere un artista sostenibile.

Infatti l’attenzione sociale per le dinamiche sostenibili è aumentata, grazie anche all’operato di artisti che con le loro opere hanno dato modo al mondo di meravigliarsi e riflettere.

Il pubblico ha sviluppato una sensibilità sempre più spiccata per l’argomento, tanto da dedicare attenzione all’aspetto ecologico anche in presenza di opere prive di significati eco friendly.

Christo e lo smaltimento di materiali sintetici

Basta pensare alle critiche pubbliche che Christo and Jeanne Claude hanno ricevuto a causa dell’impiego di grandi quantità di materiali sintetici nelle loro opere. Per riconoscere se un artista è sostenibile, infatti, va prestata attenzione in primis sui materiali utilizzati. Da dove arrivano? Dove finiranno?

Un esempio eloquente è quello relativo a un’opera intitolata Surrounded Island, dove era stata circondata un’isola di Biscayne Bay, in Florida, con dei teli in polipropilene rosa. Il pubblico più ecologista si era opposto a questo tipo di azione. L’artista aveva spiegato che per la realizzazione dell’opera erano stati impiegati 3 anni di studio della fauna e delle correnti, e che erano state rimosse tonnellate di plastica dalla costa.

Surrounded Islands, Christo e Jeanne Claude, 1980-1983, Floride

Le stesse critiche arrivarono per la recente The floatig Pierce, l’enorme passerella sul lago di Iseo realizzata con 220mila cubi cavi di polietilene, capaci di sostenenere decine di migliaia di persone contemporaneamente. In seguito allo smantellamento, l’organizzazione dell’artista ha pubblicato una nota sullo smaltimento e sul riciclo dei materiali.

È difficile dichiarare che un’opera come quella di Christo abbia davvero un impatto ambientale basso, ma la grande risonanza delle sue opere consente di fare alcune considerazione sulle posizioni del pubblico.

Se gli incaricati della comunicazione avessero promosso le modalità del recupero dei materiali come un aspetto rilevante, forse l’opera non avrebbe suscitato così tante critiche, e Christo non avrebbe dovuto fornire spiegazioni a posteriori.

La buona comunicazione insegna al pubblico come riconoscere la sostenibilità

Infatti optare per una chiara e corretta comunicazione è un elemento fondamentale quando si parla di sostenibilità. Formare ed informare il pubblico sui quali siano i benefici o le ripercussioni ambientali dell’installazione con cui sta per entrare in contatto, lo costringe a scegliere in modo consapevole se fruire oppure no di un’opera.

Nella società in cui viviamo è impossibile non avere un impatto ambientale. Tuttavia è possibile moderare le proprie abitudini. Questo dovrebbe valere sia quando si prendono decisioni individuali che collettive. L’organizzazione di una mostra, ad esempio, implica l’arrivo di un pubblico con dei bisogni come spostarsi, mangiare, visitare il luogo. Per minimizzare l’impatto, la soluzione potrebbe realizzarsi in una buona strategia comunicativa, chiedendo al pubblico di arrivare in treno, proponendo un servizio di ristorazione plant based, ed evitando l’utilizzo della plastica.

La fruizione artistica può essere del tutto sostenibile?

Applicare un’impronta sostenibile a un sistema complesso come quello della fruizione artistica sembra un’impresa complicata. Bisogna valutare se l’opera esposta sia o meno sostenibile e se veicoli un significato coerente, ma è necessario preoccuparsi anche di questioni che trascendono l’opera in sé. Non basta chiedersi quando un artista sia sostenibile.

Di recente ci si sta interrogando sull’impatto ambientale delle esposizioni biennali. Sarebbe infatti paradossale visitare una biennale artistica con esposizioni sensibili alla tematica ecologica e poi osservare i visitatori che accorrono all’evento in aereo, producono rifiuti, consumano fast food, e aggrediscono i centri commerciali nei paraggi.

Non è facile determinare cosa conduca a un risultato più favorevole per l’ecosostenibilità. Aumentare l’impatto ambientale su un luogo per un periodo di tempo limitato e consentire alle persone di beneficiare delle opere potrebbe forse aumentare la sensibilità del pubblico e portare a un minor impatto ambientale nel futuro. Come una sorta di investimento.

Purtroppo ad oggi non si hanno gli strumenti per stabilire la differenza tra costi e benefici, ma sono già attive molte iniziative che si occupano della tematica.

Ma cosa deve avere un’opera d’arte per essere davvero considerata sostenibile?

Non esiste una normativa univoca per definire se un’opera sia sostenibile oppure no. Tuttavia sul web si ritrova una certa concordanza con i 5 punti condivisi da EcoArtNetwork, una affiliazione di oltre 200 membri che si occupa di approcci transdisciplinari creativi e futuri sostenibili attraverso pratiche, progetti, ricerche e iniziative di arte ecologica.

Ecco come riconoscere un artista sostenibile in 5 punti:

1) Dedica attenzione alla rete delle interrelazioni nel nostro ambiente, agli aspetti fisici, biologici, culturali, politici e storici dei sistemi ecologici.

In altre parole: l’opera deve essere sostenibile per il contesto in cui si trova. L’arte sostenibile è in armonia con i principi chiave della sostenibilità, che includono ecologia, giustizia sociale, non violenza e democrazia di base.

Un esempio è Silver Rights (2021) dell’artista italiana Elena Mazzi, che abbiamo intervistato di recente. L’opera si concentra sull’erosione della cultura Mapuche, espropriata delle proprie terre in Patagonia a causa degli accordi commerciali tra governi e multinazionali estere (tra le quali Benetton). Come negli altri progetti di Mazzi, alla base del progetto c’è un lavoro di mediazione: in questo caso ha collaborato con l’attivista Mauro Millan organizzando dei workshop con degli artigiani del posto. I manufatti realizzati sono gioielli in argento che traducono le istanze mapu, in opposizione alle pratiche neo-estrattiviste applicate dal governo.

Anche la modalità espositiva di queste opere è frutto di una riflessione ponderata. L’esposizione, infatti, prende le distanze dalla narrazione proposta dal museo antropologico (per così dire) aperto proprio nelle terre di proprietà di Benetton in Argentina, il Leleque, dove si parla dei Mapu come di una popolazione estinta, musealizzandone la cultura materiale. Così, nel progetto Silver Rights, si sceglie di mostrare al pubblico i manufatti solo al completamento di un discorso instillativo e sonoro.

Silver rights, Elena Mazzi in dialogo con Mauro Millàn e Eduardo Molinari, 2021, Argekunst – Documentazione

2) Crea opere che utilizzino materiali naturali o che interagiscano con forze ambientali come vento, acqua o luce solare

La Land art è l’esempio più conosciuto. Dalla sua influenza si originano molteplici esperienze artistiche, come quella di Elena Paroucheva  di cui si parla approfonditamente qui. L’artista bulgara è famosa per concetti come l’Electric art e la Wind art: si tratta di sperimentazioni con strutture di trasmissione energetica, per esempio i tralicci. L’artista modella questi scheletri metallici in figure umane. Nel caso dell’opera Ondine sono presenti turbine eoliche funzionanti. L’installazione ricorda le creature ritratte da John William Waterhouse.

I materiali utilizzati sono già presenti sul posto. Al riciclo delle strutture vengono poi aggiunti led, corde elastiche e reti metalliche.

Elena Paroucheva, Ondine Scupture Pylon, 2003

3) Recupera, ripristina e ripara gli ambienti danneggiati

Come diceva l’artista sostenibile Joseph Beuys:

Arte è, quindi, un vero mezzo umano per un cambiamento rivoluzionario nel senso di completare la trasformazione da un mondo malato a uno sano. Secondo me solo l’arte può farlo.

Questo artista è stato una mente illuminata, anticipando di trent’anni l’idea di recuperare gli ambienti. L’opera che l’ha reso famoso, 7000 Oaks, è del 1982 e ha influenzato le generazioni seguenti. L’artista ha collaborato anche con artisti italiani, impegnandosi molti anni in Abruzzo con opere come Operazione: difesa della natura, Living Sculpture e Piantagione Paradise, con 7000 piante che vogliono aiutare il ripristino della biodiversità.

Operazione: Difesa della natura, Joseph Beuys, 1983

4) Informa il pubblico sulle dinamiche ecologiche e sui problemi ambientali che affrontiamo

L’artista indiano Arunkumar ci dà una bella lezione su come riconoscere un artista sostenibile. Nel concepire l’opera Dropping and the Dam ha optato per un effetto shock. Per la realizzazione infatti sono stati recuperati 70.000 tappi di plastica, tenuti insieme da fili di metallo. L’intento è chiaro: mostrare al fruitore l’impatto che provoca anche una semplice bottiglia d’acqua. Qui si trova un approfondimento.

Droppings And The Dam, 2015, Arunkumar

5) Re-immagina le relazioni ecologiche, proponendo creativamente nuove possibilità di coesistenza, sostenibilità e guarigione

L’ultimo punto su come riconoscere un artista sostenibile, è anche il più ampio da trattare. Molti artisti per svolgere la missione di guarigione del territorio, collaborano con architetti, scienziati e governi. Queste combinazioni di contributi danno origine ai più svariati risultati, dove il prodotto finale non è sempre un’opera d’arte fatta e finita.

Un’esperienza da segnalare è quella del Collins&Goto Studio – art and environmental change. I due artisti sono ricercatori ambientali e si avvalgono di collaborazioni esterne per approfondire la riflessione su tematiche di tutela.

Ora che sapete come riconoscere un artista sostenibile, di chi vorreste parlare?

Show Comments (1)
  1. Non avevo mai sentito parlare di “Surrounded Island”, davvero un bellissimo progetto, grazie di avermelo fatto scoprire!

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.