Cos’è l’ecofemminismo
L’ecofemminismo, movimento che nasce negli anni ’80 del novecento, è un movimento che riconosce una forte correlazione tra ecologia e oppressione di genere. Il suo obiettivo è sostituire il pensiero dualistico occidentale uomo\donna, e società\natura con una visione più ampia dell’identità umana.
Tra i primi disquisitori Carolyn Merchant nella sua ricerca dal titolo “The death of nature. women, ecology and scientific revolution” dove mette in relazione le istanze femministe e l’ecologia.
Le ecofemministe sostengono la forte connessione tra donne e natura, come se il genere femminile fosse più propenso a lavorare in difesa della terra. Questa inclinazione si concretizza quando le donne hanno la possibilità di lavorare nella pianificazione degli spazi, quindi nel settore dell’architettura e del design. Esiste dunque una differenza di genere nell’approccio alla sostenibilità in ambito architettonico?
Secondo l’ecofemminismo sì, esiste ed è dovuta alla diversa esperienza che donne e uomini fanno del mondo.
Progettare gli spazi pensando all’ambiente: l’esperienza femminile
Che cosa vuol dire, allora, progettare gli spazi tenendo conto delle differenze di genere? Questo approccio nasce dalla consapevolezza che il nostro ambiente non è neutrale, e che l’architettura rispecchia la struttura sociale.
L’esperienza limitante delle donne, come spostarsi con passeggini o evitare le strade isolate, le porta a relazionarsi con lo spazio in modo diverso.
Ma gli architetti sono per lo più uomini e queste esigenze non vengono prese in considerazione.
Da sempre implicate nelle attività di sostentamento della vita, le donne hanno sviluppato specifiche conoscenze “di genere” e una relazione produttiva con la natura. Le donne di tutto il mondo per secoli hanno usato metodi di sopravvivenza in sintonia con la natura, lontani dalle logiche di dominio maschili.
Secondo gli ecofemministi, chi progetta gli spazi lo fa per individui generici e su motivi estetici o tecnici che differiscono dalle reali esigenze delle donne. Non viene attribuito valore all’esperienza quotidiana e ai bisogni pratici che essa genera. Per questo c’è bisogno di una maggiore rappresentazione femminile nel mondo dell’architettura.
L’ecofemminismo Italia
In Italia, ufficialmente, l’Ecofemminismo nasce a Pescara a seguito del I convengo internazionale delle Liste Verdi “La terra ci è data in prestito dai nostri figli” (settembre 1986). In quella sessione di lavori, composta da 15 forum, nessuna prendeva in considerazione la realzione ambiente vissuto/donna – madre generazioni future.
Da questa presa d’atto, due mesi dopo un centinaio di donne organizzarono a Milano il convegno “Tra il rosa e il verde”.
Ecologiste e femministe si trovano, per la prima volta, a discutere di tematiche comuni, non contrapposte.
Per quanto riguarda l’architettura, in Italia si parla di architettura “femminista” durante il boom economico del secondo dopoguerra. L’associazione femminile Unione Donne Italiane (UDI), nata durante la resistenza al nazi-fascismo, propose diverse tematiche relative alla questione di genere nelle città.
L’architettura poteva, infatti, rivelarsi un utile strumento per raggiungere la parità di genere. Venne proposta la progettazione di una rete urbana e di servizi sociali (lavanderie, mense, asili nido, parchi pubblici, rete dei trasporti) atti a garantire alle donne sia il diritto al lavoro che la cura per la famiglia.
Vittoria Calzolari: essere architetta in Italia
Un’esperienza interessante di ecofemminismo in Italia è sicuramente quella dell’architetta urbanista romana, Vittoria Calzolari.
E’ progettista di parchi e piani del verde, professoressa di Urbanistica alla Sapienza di Roma (1975), assessora al centro storico di Roma (1976 – 1981). Lavora, per la maggior parte delle sue realizzazioni in coppia con il collega e marito Mario Ghio. Un binomio che non l’ha mai messa in secondo piano, ma anzi l’ha fatta emergere.
La Calzolari racconta, con la sua opera e i suoi spunti architettoci urbanistici, il ruolo delle donne in questi aspetti nel secondo dopoguerra.
“Urbanisti e architetti” al femminile, che non lasciano la tradizione consolidata, ma rigenerano il paesaggio e l’urbe creando reti per lo più familiari. Tracciando un legame inscindibile tra professionismo e militanza politica, tra paesaggio e sua pianificazione ad uso di tutti.