Secondo alcuni osservatori negli ultimi decenni c’è stato un progressivo scollamento tra ciò che gli architetti progettano e ciò che le persone vogliono. O ciò di cui hanno davvero bisogno. Il futuro degli edifici luccicanti (e di grande impatto) che dominano gli skyline urbani inizia a sembrare anacronistico. Un futuro “fuori dal mondo”. Che lascia la sensazione generalizzata di un mondo che procede al contrario dell’auspicabile. Ma se davvero il futuro probabile della città non è affatto auspicabile, cosa si può davvero fare? Dopotutto il futuro probabile delle città potrebbe non essere necessariamente limitato da ciò che è realistico.
Ragionevolezza
Il fisico Carlo Rovelli, interrogato sul probabile futuro che ci aspetta, ha dichiarato: “Io direi che la scienza non ci salva. Ci salva il nostro essere umani, la nostra ragionevolezza. A salvarci, se ci si salva, sono le cose che riteniamo giuste e che riusciamo a fare insieme”. Siamo tutti sotto lo stesso tetto (o sotto lo stesso cielo) si potrebbe dire. La consapevolezza di questo dovrebbe essere in grado di fornire gli obiettivi a cui puntare. Per il vantaggio comune. “Se continuiamo a pensare che l’obiettivo sia quello di essere più forti degli altri, alla fine siamo più deboli tutti” conclude Rovelli.
Quello che l’architettura può essere
Progetti che non attirano l’attenzione con disegni appariscenti o imponenti facciate in vetro. Ma che si concentrano sulla sostenibilità, sulla conservazione della cultura locale e sull’impatto reale nella comunità. Spingendosi oltre i confini della creatività e della funzionalità. Ridefinendo ciò che l’architettura può essere. Reinventando tecniche tradizionali e sperimentando materiali non convenzionali. Sfidando, in una parola, lo status quo. Ponendosi la semplice questione (sempre di difficile risposta) di come fare meglio. Abbracciando il contesto, collegando il design con la storia e conferendo ai materiali e alle tecniche locali la massima importanza.
Innovare con la tradizione
Oggi la tecnologia ha messo in secondo piano la tradizione. Un approccio diverso sarebbe quello di una fusione tra passato e presente. La storia non è solo qualcosa da ricordare. É invece una base su cui costruire il futuro. È il caso de Timber Bridge sul lungomare di Gulou, in Cina. Progettato da LUO Studio e costruito interamente in legno di pino naturale. Il ponte utilizza le antiche tecniche ad arco cinesi. É stato assemblato in loco utilizzando una combinazione di falegnameria tradizionale e moderni elementi rinforzati in acciaio. Un metodo che combina le pratiche storiche con le tecnologie moderne. Fornendo flessibilità al progetto anche nell’integrarsi con il contesto. Un elemento chiave del ponte è il suo corridoio coperto. Una memoria degli antichi ponti tradizionali rivisitata per migliorare l’esperienza dei fruitori.
Oltre i materiali convenzionali
Imparare dal passato può essere una chiave. Ma innovare può voler dire anche realizzare opere utilizzando materiali non convenzionali. Persino per proclamare la centralità della sostenibilità e della creatività in architettura. Come hanno fatto i ricercatori statunitensi che collaborano con SHoP Architects. Essi hanno creato un’alternativa all’acciaio e al cemento come materiale strutturale per pavimenti. Si tratta di pannelli riciclabili realizzati interamente in bioplastica derivata dalla combinazione di PLA (una bioplastica proveniente dai residui del mais) miscelata con farina di legno. Tale farina è prodotta dagli scarti della lavorazione del legname.
Il pannello prefabbricato è stato realizzato utilizzando la stampa 3D dai ricercatori dell’Oak Ridge National Laboratory (ORNL) del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. E dell’Università del Maine (UMaine). Entrambe parte della partnership pubblico-privata SM2ART. Secondo il team, il pannello SM2ART Nfloor è migliore per l’ambiente e più veloce da produrre rispetto a elementi simili in acciaio e cemento. Elementi che sono tipicamente utilizzati negli edifici a più piani.
Costruire con uno scopo
Al centro di questi lavori c’è un approccio olistico. Un approccio che rifiuta di separare il design dallo scopo per il quale è stato pensato. Che si tratti di far rivivere antiche tecniche oppure ripensare l’uso dei materiali. Questo dimostra che l’architettura può essere significativa anche nel comprendere e interagire con il contesto. Sia esso sociale, culturale o ambientale. In questi casi il progetto è tanto un processo quanto l’esito di un prodotto finito. E queste due fasi coinvolgono sempre le comunità ove s’interviene. Promuovendo, in tal modo, un senso di appartenenza condivisa dei luoghi.
Il futuro, per come lo vediamo palesarsi, potrebbe non essere quel futuro “auspicabile” di cui abbiamo accennato. Per renderlo tale ci vorrà un modello convincente per l’architettura. Mentre la progettazione è già da tempo alle prese con le sfide della sostenibilità, della salvaguardia dei beni culturali e della responsabilità sociale, il lavoro per un futuro auspicabile richiede un metodo. In grado di generare idee che non siano solo innovative. Ma anche profondamente saldate alle comunità che debbono soddisfare. Un’architettura che impara ad ascoltare e a costruire con uno scopo.
Per approfondire: Come sarà l’architettura del futuro?
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