“Nowhere”
Un tappeto rosso lungo 250 metri srotolato sul paesaggio innevato. È “Nowhere”, il gesto di land art di Gregory Orekhov. Il luogo è quello del Malevich Park, a Mosca, che ospita altre opere d’arte pubblica (sempre dello stesso autore).
L’arte pubblica esprime l’intenzione di portare l’opera nel dominio fisico dello spazio pubblico. Con l’obiettivo di coinvolgere direttamente i visitatori/cittadini. In un’esperienza accessibile a tutti.
Queste opere racchiudono un’ampia gamma di possibilità espressive per l’artista. Il fattore che le accomuna è la loro collocazione nel paesaggio. Sia esso urbano o naturale.
Lo comprendono e lo modificano in qualche modo, quando entrano in dialogo con esso. Di fatto, è anche un modo per qualificare lo spazio pubblico attraverso l’arte. Aggiungendo inoltre funzioni di partecipazione e di interazione opera-pubblico.
Red Carpet
La location scelta è quella di un paesaggio invernale. Una foresta coperta di neve. In questo contesto puramente naturale, si estende un nastro rosso. Sembra una cesura, un taglio netto. Un’operazione semplice solo in apparenza. In realtà, le relazioni, le interazioni, lo spirito del luogo sono completamente alterati dall’opera. D’ora in poi ci sarà un prima e un dopo l’intervento. Un dentro e un fuori. Un confine.
Forse Orekhov voleva alludere a un Red Carpet? Una sorta di “cursus honorum”. Quasi un percorso cerimoniale. Una divinizzazione del visitatore. La celebrazione, evidentemente, di un successo.
Indubbiamente, il fascino di assumere questo ruolo è la sua prima attrattiva. Chi di noi non vorrebbe percorrere il Red Carpet? Ma poi, mentre lo si percorre, nel pubblico scatta qualcosa di nuovo. L’attrazione per l’ambiente circostante e la scoperta del paesaggio. La magnifica foresta bianca. Quasi come se volessimo dissolverci in quel paesaggio incontaminato. Nella purezza astratta della neve. Quando si guarda un luogo innevato, l’effetto straniante e metafisico è molto forte. Una sorta di “cupio dissolvi” verso il nulla (che è tutto tranne che nulla!). Un Nulla che è anche un Altro, che contiene anche noi e la nostra apparente (e manifesta) incoerenza.
Qual è la nostra linea rossa?
Incoerenza verso l’ambiente. Ma potrebbe anche essere incoerenza verso le nostre scelte. In sintesi, il lavoro di Gregory Orekhov pone una domanda. Semplice e difficile allo stesso tempo: “Qual è la nostra linea rossa, la linea proibita che non deve essere superata in nessun caso?”.
L’autore lo chiede esplicitamente. E sembra chiederlo anche a se stesso. In fondo, questo confine è anche una linea di collegamento. Un confine così labile che può essere attraversato inconsapevolmente. Non è forse anche la nostra storia, da sempre?
L’opportunità di oggi è quella di interagire con la linea rossa, attraversarla e tornare sui propri passi. Considerarla di nuovo nel suo contesto e osservarla da un altro punto di vista. Per ridisegnare, infine, il limite di ciò che è accettabile attraverso la propria esperienza.
“Gregory Orekhov è nato a Mosca nella famiglia di un eccezionale scultore e accademico russo, Yuri Orekhov. Fin da piccolo, Orekhov ha studiato nel laboratorio del padre, imparando a padroneggiare la scultura nelle sue varie tecniche e materiali. In seguito ha proseguito gli studi presso l’Accademia di pittura, scultura e architettura ‘Ilya Glazunov’”.
Il patrimonio creativo dell’accademico Yuri Orekhov
La personalità di questo artista è molto complessa. All’età di 25 anni, dopo la morte prematura del padre (Yuri Orekhov), Gregory ha iniziato a dedicarsi all’attività organizzativa dell’Accademia russa delle arti, dirigendo la Fondazione “Scultore” (creata dal padre stesso).
Nel 2004 ha fondato il museo “The Creative Heritage of Academician Yuri Orekhov”, dove ha presentato una collezione di opere, strumenti e fotografie dell’artista. Tutto materiale estratto dai suoi archivi.
Dal 2012, tornato all’arte a tempo pieno, ha iniziato a lavorare su progetti legati al paesaggio, all’arte pubblica, alla land art e all’arte minimalista.
Questo è il segno inconfondibile del suo linguaggio. “Una forma pura in un’immagine metaforica”. Dopotutto, “Nowhere” non è anche un’abile interazione tra queste due componenti?
“Agatha”
Inoltre, questa ispirazione è presente in altre sue opere. Come “Agatha”, che prende il nome dalla figlia (la cui nascita è stata l’impulso per la sua carriera artistica e per la sua vita in generale, come dice lui stesso). Una composizione di sfere specchiate. Un tema molto caro all’autore.
Sorprendentemente, Gregory è anche un eccellente architetto. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, visto il suo amore per il rapporto tra esterno e interno. Tra intimo e pubblico.
La casa che ha progettato, per sé e per la sua famiglia, rivela il suo gusto per il design. Nel connubio con l’input della moglie (la designer Dana Matkovskaya), riecheggia gli spazi dell’architettura moderna. Rivela le influenze di Carlo Scarpa e Louis Kahn.
Teatro di emozioni
In “Nowhere” lo spettatore è complice dell’opera. La dinamica del movimento diventa una potenziale traccia per il dispiegarsi della linea rossa. Tuttavia, il passaggio dal segno bidimensionale al movimento tridimensionale non è privo di conseguenze. Il curatore e critico d’arte Mikhail Sidlin scrive di Gregory Orekhov: “… è forse l’unico scultore russo che lavora nel vero spirito del post-minimalismo. Riesce a combinare una forma grezza con un teatro di emozioni che alla fine catturano il pubblico”.
Atti di passaggio
In fondo, come nella sua casa, Orekhov colloca ogni opera d’arte all’interno di un ambiente costruito con maestria e sensibilità. Infatti, riesce a collegare il visitatore tanto allo spazio architettonico quanto al luogo e al paesaggio. Compiendo con semplicità atti che sono, al contrario, molto complessi. Atti di passaggio.
Anche “Nowhere” è un passaggio. L’oggetto stesso, apparentemente funzionale, nasconde una seconda natura. Sfuma le circostanze della scelta di entrare o meno nel “cursus” segnato. Un bivio, una selezione, una domanda. Come nella vita reale: una certa idea di passaggio, non come specchio del mondo, ma come rilettura di esso.
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