I profughi ambientali

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Andrea Allegra
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Viviana Grasso

I profughi ambientali o climatici sono tutte quelle persone costrette ad abbandonare le proprie terre d’origine a causa di eventi naturali quali la siccità, i terremoti, gli uragani, le alluvioni e qualsiasi altro disastro naturale si sia venuto a creare. Questo fenomeno si differenzia dalle altre cause di migrazione dal fatto che non esistono fattori come guerre, tirannie o questioni politiche o religiose che ne determinano l’innesco, ma da motivi esclusivamente legati allo stato di salute del paese che saranno costretti ad abbandonare. Per questa ragione essi non sono riconosciuti dalla  Convezione di Ginevra sui rifugiati poiché non ricadono in nessuna delle categorie prese in considerazione dalla Convenzione stessa.

I profughi ambientali. Uomo a bordo di una barchetta posta su una terra arida.

I profughi ambientali: il caso dell’Etiopia.

Quello che sta avvenendo in Africa è un vero e proprio paradosso climatico. Infatti tutto il continente africano provoca solo il 4% delle emissioni di gas serra. Considerando che quasi tutto il rimanente deriva dai paesi più sviluppati, possiamo considerare, appunto l’Africa, come una vera e propria vittima di questo fenomeno. In Etiopia sono 5 anni che non piove, alluvioni escluse. Questa condizione ha portato a delle condizioni a dir poco atroci:

  • Morte per caldo: la mortalità dovuta al rialzo climatico è aumentata del 20% negli untimi 20 anni;
  • Malnutrizione acuta: recenti stime dell’ONU  hanno evidenziato che 16 milioni di persone soffrono la fame o sono comunque in una situazione di estrema emergenza;
  • Sconvolgimento delle attività agricole e di pastorizia: enormi quantità di bestiame, che prima nutrivano l’intero paese, sono morte. L’agricoltura, quasi inutile dirlo, è in ginocchio per la siccità;
  • Perdita identitaria: quando un’ intera popolazione vede venir mancare le attività che per secoli sono state le primarie forme di sussistenza, si assiste a un fenomeno di perdita delle tradizioni e soprattutto dell’identità lavorativa del paese stesso.
  • Matrimoni precoci: Se negli anni precedenti la situazione era migliorata, adesso si sta di nuovo assistendo a matrimoni di bambine di poco più 11 o 12 anni, con uomini adulti di 40 o 50 anni. Questo perché, in una fase di massima povertà, le famiglie sono portate ad avere un estremo bisogno della dote in cambio della sposa e di poter togliere una bocca in più da sfamare al nucleo familiare. Purtroppo, essendo un requisito imprescindibile per la nuova unione, stanno aumentando le mutilazioni genitali femminili.
I profughi ambientali: bambini in Etiopia

A tutto questo va aggiunto che, secondo le fonti di UNHCR ( The UN Refugee Agency),  l’Etiopia è il terzo paese africano per numero di rifugiati, ospitando attualmente quasi un milione di persone provenienti da Sud Sudan, Somalia, Eritrea e Sudan. Altro paradosso di una situazione che, se non adeguatamente considerata, porterà a breve a un disastro umanitario di dimensioni spaventose.

Come Affrontare il Fenomeno.

La priorità degli interventi dovrebbe agire da due fronti distinti: attività concrete nei territori interessati dagli eventi catastrofali e diminuzione progressiva dell’inquinamento da parte dei paesi più industrializzati. Indubbiamente cercare di ridurre le emissioni di gas serra è un obbiettivo fondamentale. Il modo non si può più permettere di voltare le spalle a questa emergenza. Allo stesso modo però, il percorso è ancora molto lungo e non può evitare i danni già causati. Sarebbe invece di immediato impatto riconoscere legalmente questo fenomeno: i rifugiati climatici dovrebbero essere equiparati a tutti quelli già riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra. Questo porterebbe alla messa in pratica di politiche sociali da parte dei paesi più sviluppati. Allo stesso tempo si dovrebbe agire in tutti quei paesi dove le catastrofi naturali hanno già colpito. Opere di bonifica dei territori interessati, creazione di infrastrutture resilienti ai cambiamenti climatici che possano impattare in maniera migliore rispetto al passato. Insegnare le condotte da operare in caso di calamità a tutti quei paesi che non si sono trovati pronti a questi fenomeni. A tal proposito Roberto Vignola, vice direttore generale di CESVI, dice:

Il cambiamento climatico colpisce i popoli più vulnerabili e che meno hanno contribuito ad accelerare la crisi e, insieme ad altri fattori destabilizzanti come la competizione per le risorse e i conflitti, aumenta la fragilità sociale ed economica e costringe milioni di persone ad abbandonare le loro terre e le loro case …Noi di CESVI interveniamo in Etiopia per dare alle comunità mezzi e conoscenze con cui prepararsi e resistere a questi shock climatici sempre più frequenti e massicci, per interrompere anche la spirale di fame e malnutrizione

Il global climate wall

Il concetto di Global Climate Wall si manifesta in due modi: uno pratico e uno teorico. Sostanzialmente racchiude tutti quei comportamenti che gli stati mettono in atto per evitare l’arrivo di chi è costretto a lasciare la propria terra per questioni ambientali. Se da una parte infatti si creano dei veri e propri muri e barriere per arginare i flussi migratori, dall’altra non si affrontano le cause per le quali essi si vengono a creare. Rimane sostanzialmente una mancata presa di coscienza verso cosa si poteva e si può fare affinché questi viaggi della disperazione non accadano. Se si fossero considerate come sbagliate tutte quelle politiche industriali e non, che hanno portato l’inquinamento a questi livelli, si sarebbero potute evitare tutte queste catastrofi. Va poi considerato  lo sforzo finanziario che le nazioni devono fare per mantenere le distanze dai profughi: oltre alle barriere, bisogna calcolare l’impiego militare e tecnologico posto a presidio di questi muri. Al pratico i conti non tornano: si spende più per proteggersi che per evitare i disastri ecologici. Di questo passo il genere umano si dovrà adattare alle abitudini di tanti animali che, per questioni climatiche, sono costretti a migrare per il mondo.