Regolarizzazione delle fabbriche, un “sì” alla sostenibilità

Author
M. Bishop
English Translation
Chiara Conti
Italian Translation
Chiara Conti

Regolarizzazione delle fabbriche, il “premio verde” del mondo tessile

La regolarizzazione delle fabbriche viene presentata come un programma di trasformazione con molte idee e iniziative, ma in cosa consiste esattamente e quali progetti pionieristici ha suscitato finora?

Regolarizzazione delle fabbriche: una prospettiva più etica e ambientale

Non solo ha aumentato l’abbigliamento e il prestigio della moda di milioni di persone, ma ha anche incrementato l’occupazione e l’economia globale. Stiamo parlando del settore tessile, ovviamente, una delle principali banche finanziarie del mondo. Tuttavia, nonostante il suo contributo positivo, è innegabile l’impatto negativo di questo settore sull’ambiente, responsabile di gran parte dell’inquinamento industriale che attualmente soffoca il pianeta.

Sì, il mondo del tessile e della moda ha il suo lato oscuro, orribile e riprovevole. E la sua macchia anti-ecologica non è (e non è stata) l’ultimo dei suoi problemi. Laboratori clandestini, lavoratori sfruttati, manodopera vulnerabile, ispezioni sul lavoro non rispettate, condizioni sanitarie precarie, infrazioni legali allarmanti… ecc. E tutto in nome del risparmio sui costi di produzione.

Ed è proprio in questo contesto che nasce l’urgenza e la necessità di attuare una regolarizzazione delle fabbriche di abbigliamento. In altre parole? Mettere in atto misure praticabili ed efficaci per controllare la produzione tessile, questa volta con un approccio molto più etico e molto più ambientale.

Sapevate che la produzione tessile è la seconda più inquinante al mondo?

Che il business della moda lasci un’impronta catastrofica sull’ambiente è un segreto aperto. Non è un caso che tra il 3% e il 10% delle emissioni di carbonio siano attribuite a questa attività, e questo a livello globale. Il Carbon Trust, una società di consulenza britannica, lo ha riportato, affermato e denunciato nel suo rapporto del 2020 sulle conseguenze ambientali delle settimane della moda

Il bacino del fiume Citarum, in Indonesia, è un'area con un gran numero di fabbriche, soprattutto tessili.
Il bacino del fiume Citarum, in Indonesia, è un’area con un gran numero di fabbriche, soprattutto tessili. Le fabbriche tessili di Bandung e Cimahi sono state i principali generatori di rifiuti tossici. Più di 2.000 industrie hanno inquinato 5.020 miglia quadrate del fiume con piombo, mercurio, arsenico e altre tossine.

Qual è il motivo? Fondamentalmente, a causa della sua modalità di trasporto prioritaria. Il trasporto aereo, in sostanza, è responsabile del 2 o 3% dell’impronta di CO2 a livello mondiale. Ma l’impatto della produzione tessile va oltre la sua impronta di carbonio. L’eccessivo consumo di acqua ha trasformato questa attività in un nemico delle risorse naturali. Un’inimicizia ribadita dalla sua tendenza a inquinare fiumi e laghi, oltre che a utilizzare le sostanze chimiche più tossiche.

Infatti, secondo la Fondazione Ellen MacArthur, il settore tessile genera 1,2 miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno, più o meno. Si tratta del 10% delle emissioni globali. Stime alle quali vanno aggiunte le 500.000 tonnellate di microfibre che vengono scaricate nell’oceano (ogni anno), derivanti a loro volta dal lavaggio di tessuti sintetici. Si tratta di un inquinamento marino impossibile da ignorare.

Cifre allarmanti che, fortunatamente, hanno contribuito ad aumentare la consapevolezza sociale e ambientale sulla produzione tessile, il suo impatto e il modo e il ritmo di consumo degli abiti. Questo, a sua volta, ha contribuito ad alimentare un movimento di grande attualità per un cambiamento sostenibile. La regolamentazione delle fabbriche tessili è quindi vista come una possibile soluzione ecologica. In che senso? Promuovendo la sostenibilità da un lato, senza perdere di vista il rispetto dei diritti umani dall’altro.

Regolarizzazione delle fabbriche: dalla trasparenza dell’offerta all’inasprimento delle leggi

Garantire la trasparenza in ognuno degli anelli che compongono la filiera tessile è, senza dubbio, una delle prime misure necessarie da adottare. E perché? Perché sono molti i marchi che subappaltano la produzione, delegando questo compito a fabbriche che operano in condizioni non etiche.

Stiamo parlando di lavori in cui lo sfruttamento del lavoro, in primo luogo, e l’impatto ambientale, in secondo luogo, sono molto elevati. Ecco perché l’impegno a favore di sistemi che richiedano alle aziende di fornire informazioni dettagliate su dove e come vengono fabbricati i loro prodotti è prioritario ed essenziale in questa campagna e lotta. Soprattutto perché la tracciabilità può aiutare a identificare ed eliminare lo sfruttamento dei lavoratori, l’inquinamento e altre pratiche dannose.

Lavoratori di un'azienda subappaltata da Zoetop Business nel villaggio di Nancun, distretto di Panyu, Cina. © Panos Pictures / Public Eye
Lavoratori di un’azienda subappaltata da Zoetop Business nel villaggio di Nancun, distretto di Panyu, Cina. © Panos Pictures / Public Eye

In questo senso, i sigilli di certificazione svolgono un ruolo cruciale. Il loro compito è quello di assicurare all’acquirente che le fabbriche del marchio dell’indumento che sta per acquistare rispettano sia gli standard etici sia i requisiti ambientali.

D’altra parte, non c’è dubbio che la regolarizzazione delle fabbriche comporti anche un inasprimento delle emissioni di carbonio delle aziende tessili. Stiamo parlando di fissare dei limiti, sì. Limiti stabiliti dalle autorità governative e internazionali. Limiti che stabiliscono tassi di emissione più bassi, che prendono in considerazione il trattamento delle acque reflue e che richiedono persino di investire in tecnologie più pulite. In altre parole?

Agire sulla legislazione per incoraggiare le aziende a sviluppare processi più sostenibili, soprattutto nelle regioni in cui la produzione tessile è particolarmente elevata. A partire dall’uso di energie rinnovabili, per esempio, e continuando con il riciclo dell’acqua, per esempio. Per non parlare dell’attuazione di politiche più rigorose che monitorino l’uso di sostanze chimiche tossiche e che controllino anche la gestione dei rifiuti.

Non meno importante è porre fine al consumo lineare e promuovere l’economia circolare. Il riutilizzo e il riciclo continuo delle risorse è un’altra misura a favore della regolarizzazione delle fabbriche tessili. L’importante, a questo punto, è abbandonare il modello consumistico in cui i vestiti vengono prima prodotti, poi consumati e infine scartati. La risposta?

Incoraggiare la creazione di prodotti a partire da materiali già riciclati. Ma anche ridurre la domanda di risorse vergini, sostenere l’uso di fibre riutilizzabili e promuovere la raccolta di abiti di seconda mano.

La regolamentazione delle fabbriche non deve trascurare l’approccio etico

Un termine che, in termini di business, dovrebbe tradursi nella promozione e nel rispetto di condizioni di lavoro eque e dignitose. E come linea da seguire, quelle delineate dall’ILO (o Organizzazione Internazionale del Lavoro).

Fonte: Agenzia europea dell'ambiente.
Fonte: Agenzia europea dell’ambiente.

Vale la pena ricordare a questo punto che molti di coloro che svolgono questi lavori nel settore tessile lo fanno in condizioni pericolose. Per non parlare dei lunghi ed estenuanti orari di lavoro, il tutto per una paga bassa. I marchi di abbigliamento devono quindi garantire e assumersi la responsabilità di assicurare che i loro fornitori e le loro fabbriche rispettino gli standard internazionali in materia di lavoro. Un modo per assicurarsi che questi standard vengano effettivamente rispettati?

Ad esempio, conducendo audit indipendenti sul lavoro. Audit trasparenti e pubblici, per di più. In sostanza, questa misura consentirebbe ai consumatori di avere maggiori informazioni sui marchi che intendono acquistare e, su questa base, di prendere una decisione di conseguenza.

A riprova dell’importanza di tenere i consumatori ben informati, alcuni marchi hanno già iniziato a utilizzare etichette verdi. Etichette informative e chiare che riportano anche l’impronta ecologica di ogni capo. Una misura di regolamentazione delle fabbriche che può avere un effetto ancora maggiore con l’aumento dell’educazione e della consapevolezza dei consumatori.

Perché è indiscutibile che quando i consumatori richiedono determinati tipi di prodotti, i marchi sono costretti ad adeguarsi a queste richieste. Un’esigenza di acquisto e vendita che può giocare a favore della trasformazione di questa industria, inducendola a muoversi verso un modello più sostenibile ed etico. La domanda, a questo punto, è se sia possibile spingere i consumatori verso la sostenibilità tessile.

La risposta è un secco sì. Come? Ricorrendo al vecchio trucco delle campagne di sensibilizzazione. Strategie che insegnano ai consumatori l’impatto ambientale e sociale degli abiti che acquistano.

Infine, anche gli incentivi governativi e le politiche fiscali sono un modo interessante per incoraggiare la regolarizzazione delle fabbriche. In breve, si tratta di premiare le aziende tessili che adottano e implementano modelli sostenibili, con sussidi o sgravi fiscali. Questo riconoscimento economico e politico potrebbe essere dato anche alle fabbriche che migliorano le condizioni di lavoro dei propri dipendenti o a quelle che investono in tecnologie pulite.

Certificación GOTS: El Global Organic Textile Standard (GOTS) garantiza la producción textil orgánica a partir de algodón y otros materiales sostenibles.
Certificazione GOTS: il Global Organic Textile Standard (GOTS) garantisce la produzione di tessuti biologici a partire da cotone e altri materiali sostenibili.

D’altra parte, non sarebbe irragionevole punire le aziende che non rispettano lo standard attraverso la tassazione. Traduzione? Politiche fiscali che scoraggino la produzione non sostenibile. Come, esattamente? Imponendo tasse ambientali, fondamentalmente. Punendo le fabbriche che superano il limite di emissioni di carbonio o che generano grandi quantità di rifiuti.

Un database per le filiere, il nuovo volto sostenibile del tessile.

Un’offerta di pace, una foglia verde ed ecologica. È questa l’essenza dell’ultima idea della Prefettura di Milano, pubblicata qualche settimana fa da BoF , dopo aver proposto di avviare una banca dati sulla filiera del capoluogo lombardo. Il provvedimento non ne fa mistero: tutelare il “Made in Italy” è il suo obiettivo prioritario; e se per farlo deve monitorare più da vicino la produzione italiana, ben venga.

Stando alla ripartizione dei suoi dettagli, questa misura di regolarizzazione delle fabbriche si applicherebbe, per il momento, solo alla regione Lombardia. Il suo modus operandi, in ogni caso, non è altro che quello di creare una piattaforma centralizzata per aiutare e guidare i produttori.

guidare i produttori.
Un database che consentirebbe anche di caricare e scaricare tutti i documenti necessari a certificare la legalità dei luoghi di lavoro. Uno schema d’azione che, insomma, potrebbe favorire la regolarizzazione delle fabbriche, sì. Lo stesso vale per i marchi e le autorità, soprattutto quelle incaricate di effettuare le ispezioni.

Per molti dirigenti coinvolti nel progetto, l’implementazione di questo database potrebbe essere la soluzione a un problema che da anni affligge l’intero settore produttivo nazionale. Il compito è complesso, è vero. Ma riunire in un unico punto di accesso tutti i documenti e le informazioni anagrafiche delle fabbriche lombarde potrebbe andare oltre la semplice iniziativa ancora in discussione e diventare un esempio di innovazione.

Regolarizzazione delle fabbriche: perché non si tratta più di fare di più, ma di fare meglio

Fonte: Agenzia europea dell'ambiente.
Fonte: Agenzia europea dell’ambiente.

Insomma, il mondo dell’abbigliamento comincia a dimostrare che può essere positivo, in termini di sostenibilità. Dal design alla scelta dei materiali, dal coinvolgimento dei consumatori alle condizioni di lavoro, dalla direzione strategica alla produzione delle sfilate. Rami e sezioni che sempre più spesso scelgono di raggiungere i soliti obiettivi, e non sempre nel modo più tradizionale e inquinante.

Sì, il controllo della produzione e la regolarizzazione delle fabbriche tessili sono essenziali se vogliamo davvero ridurre l’impatto di questa industria sul pianeta. Un approccio etico e ambientale che può a sua volta migliorare le condizioni di lavoro di milioni di lavoratori in tutto il mondo.

È sufficiente che l’intervento del governo si allei con il sostegno dei consumatori per iniziare a trasformare l’industria tessile in una forza migliore. Un’alleanza che, se ben gestita, potrebbe promuovere la giustizia sociale e proteggere l’ambiente. Il progresso, tuttavia, dipende dai consumatori, che hanno il potere di fare la differenza. Come? Chiedendo prodotti più rispettosi dell’ambiente, sì, e consumando pratiche e iniziative veramente verdi.

Impatto dell'industria tessile sugli oceani: i rifiuti tessili, come quello raffigurato qui, inquinano i nostri mari e le nostre spiagge, evidenziando l'urgente necessità di adottare pratiche più sostenibili nella produzione e nel consumo di moda. La crescente dipendenza dalle fibre sintetiche e la mancanza di un adeguato riciclo aggravano questa crisi ambientale.
Impatto dell’industria tessile sugli oceani: i rifiuti tessili, come quello raffigurato qui, inquinano i nostri mari e le nostre spiagge, evidenziando l’urgente necessità di adottare pratiche più sostenibili nella produzione e nel consumo di moda. La crescente dipendenza dalle fibre sintetiche e la mancanza di un adeguato riciclo aggravano questa crisi ambientale.

L’importante, in questa lotta per una migliore regolamentazione delle fabbriche, è rendere omaggio ai diritti umani e alla giustizia ambientale. Fare un altro inchino, di riconoscimento e consapevolezza, all’artigianato e all’innovazione, all’economia circolare e all’inclusione.