La sostenibilità è la chiave per cambiare il mondo
A The Green Side of Pink ci siamo sempre impegnati a far parlare i giovani di sostenibilità e di come loro possono contribuire a cambiare il mondo. Di tanto in tanto appaiono giovani talenti che ci offrono la loro visione della moda. In questa occasione abbiamo il piacere di intervistare Charvi Venkat. Questa designer indiana di 25 anni si è specializzata in moda maschile alla Domus Academy di Milano. Oggi condivide con il nostro team la sua carriera, i suoi progetti, la sua percezione della sostenibilità e non solo.
Da dove è nata l’idea della tua ultima collezione?
Charvi: “Conceal and carry on” (dissimula e porta avanti), il nome che ho scelto per la mia collezione maschile due giorni prima della sfilata di laurea, sintetizza perfettamente mesi di riflessione. Ha preso forma da sola durante il Covid e i successivi confinamenti, sia visualmente che psicologicamente.
Quando ho preso la decisione di trasferirmi dall’India per seguire il mio master in Italia nel mezzo del caos della pandemia, ho dovuto riorganizzare la mia vita. Ho capito che il concetto di “protezione” assume molte forme. A volte si manifesta fisicamente, come un legame emotivo, come un’intuizione fugace oppure come un ideale tossico. Ho voluto decostruire questo sentimento e trasmetterlo attraverso i miei disegni.
Creare e lanciare una collezione richiede tanto lavoro individuale. Qual è stato il processo di ricerca per questa collezione sostenibile?
Charvi: Durante la ricerca, ho fatto dei paralleli tra le tattiche protettive usate nelle tende militari, come le Zeltbahn tedesche, e il modo in cui venivano portate dai soldati della seconda guerra mondiale come se fossero solo un altro pezzo di abbigliamento. Inoltre, ho esaminato modi più intuitivi di protezione che si trovano in molte culture di babywearing in tutto il mondo. Quindi ho studiato diversi modelli, fasce e imbragature utilizzate per il trasporto dei bambini, e li ho espressi in termini di volume, dettagli e materiali.
Questi gesti di portare, rimboccare e legare si riflettono negli indumenti sia dal punto di vista pratico che emotivo. Allo stesso modo siamo costretti a svolgere il nostro ruolo nella società.
Siamo stati colpiti dal tuo uso della sostenibilità come elemento centrale. Come è nata l’idea?
Charvi: La sostenibilità è stata per me un elemento chiave in tutto il processo. Inutile dire che a volte era un po’ stressante. È stato estremamente educativo e utile prestare attenzione alla provenienza dei tessuti, parlare con diversi fornitori e conoscere i materiali e i processi che esistono sul mercato e come incorporarli al meglio nella mia collezione.
È stato facile combinare questi concetti in una collezione per chi viene dall’India e ora è in Italia?
Charvi: La città italiana di Prato ha una lunga tradizione nell’industria tessile. È stata un centro storico per il riciclaggio e la rigenerazione degli scarti e delle fibre tessili, soprattutto della lana, per sviluppare nuovi materiali di alta qualità e a basso impatto ambientale. L’industria si articola principalmente attraverso piccole e medie imprese a conduzione familiare altamente qualificate e specializzate in uno o più aspetti del processo produttivo. I capi della collezione sono realizzati con cotone biologico italiano certificato, poliestere riciclato, tessuti tecnici tinti con tecnologia waterless e scampoli. Le imbottiture sono fatte in cashmere riciclato sponsorizzati da CashPad, un’azienda innovativa di Prato.
La collezione è davvero originale e fonte di ispirazione. Quali lezioni puoi trarre dal suo lancio?
Charvi: Una delle mie principali conclusioni è che va bene non essere completamente sostenibile. Se la pandemia ha dimostrato qualcosa, è che il mondo della moda ha urgente bisogno di una riforma. Questa riforma noi, come designer, consumatori e membri di questa incredibile comunità, possiamo realizzare attraverso le nostre azioni consapevoli e coerenti.