L’arte al servizio della collettività: Elena Mazzi

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Belen Espino

La speculazione artistica di Elena Mazzi è un inno alla sostenibilità. Nelle sue opere sono indagate le diverse e molteplici relazioni tra l’uomo e il suo ambiente; dalla sua acuta osservazione e riaelaborazione artistica queste ne escono indissolubilmente intersecate, così come lo sono i media utilizzati nella loro realizzazione. La sua arte è una forma di attivismo al servizio della collettività.

In “Atlante energetico”, ad esempio, sviluppa il tema dell’energia. Questa è identificata con il riso, ovvero una delle principali risorse alimentari globali, e indagato come sistema biologico complesso e delicato che unisce idealmente il Piemonte al Sud-Est asiatico, l’ambiente all’economia.

In “En route to the South, learning to be nomadic“ la pratica dell’apicoltura nomade è messa in relazione al fenomeno della migrazione umana. L’installazione è stata concepita con l’ intento di sviluppare uno scambio culturale attraverso la condivisione di un sapere specifico; essa è costituita da un’arnia per api, una serie di disegni, un’incisione su cera e un testo.

L’opera “Spicule” si articola a partire da una riflessione sul legame imprescindibile dell’uomo con il mare. Ha assunto la forma di quattro sculture, ispirate a particolari animali marini tanto comuni quanto misconosciuti: le spugne. Il titolo ha origine dal materiale di cui sono composti i loro scheletri. L’installazione rappresenta un medium allo svolgimento di attività didattiche e scientifiche, attraverso l’interazione con gli organismi marini e i bagnanti del luogo.

Approfondiremo ora con l’artista stessa le sue intenzioni, il suo metodo e le sue creazioni.

Atlante Energetico“, 2016/2017, programma articolato composto per il GAM Torino e Fondazione Spinola Banna per l’Arte,
ph. Nadia Pugliese

Il suo approccio olistico è una guida all’interdisciplinarietà, al perseguimento di uno sguardo ampio sulla realtà.

Vorrebbe raccontarci brevemente di sé, di quali sono stati i capisaldi nella sua formazione.

Dopo un diploma sperimentale in beni culturali e disegno al BUS (Biennio Unico Sperimentale del Liceo Artistico) di Reggio Emilia, una laurea triennale in Storia dell’Arte a Siena e un paio d’anni di esperienza tra musei e gallerie, mi sono iscritta al biennio specialistico di Arti Visive IUAV di Venezia e ho passato un periodo all’Accademia di Belle Arti a Stoccolma. Sicuramente l’architetta e artista slovena Marjetica Potrc, mia insegnante al secondo anno di Arti Visive, è stata una figura chiave nel mio percorso artistico, così come lo è stata Joan Jonas, artista per cui ho lavorato una volta uscita dall’università in qualità di assistente e performer. In altra forma e modalità, ho potuto apprendere molto da lei, e ancora continuo a farlo.

Self-portrait with a whale backpack“, fotografia, 2018. Courtesy l’artista e galleria Ex Elettrofonica

Le sue opere sono spesso caratterizzate dalla coautorialità e dalla pratica partecipativa, trasformandosi in veri e proprio laboratori sperimentali.

Quali sono le radici di questo modus operandi? Può parlarci del suo metodo speculativo?

Credo che l’arte sia un ottimo mezzo per veicolare messaggi, proprio per la sua apertura e flessibilità nell’uso dei linguaggi. L’arte è un modo per esplorare le relazioni sociali e le complesse dinamiche che le caratterizzano. Quello che mi interessa è indagare il rapporto tra essere umano e l’ambiente ad esso circostante, nel quale vive e con il quale si confronta ogni giorno: un’analisi che spesso si lega a uno sguardo e a un approccio di tipo antropologico, che indaga un’identità al contempo personale e collettiva, che si relaziona con uno specifico territorio, ma che mette anche in discussione una visione mediatica spesso distorta. La conoscenza del territorio avviene per esperienza diretta, tentando di individuare e approfondire uno spazio non frequentato nelle città e di aprire un nuovo percorso, attivando così un processo che coinvolga una parte di collettività. Mi piace scoprire insieme agli abitanti stessi nuove possibili pratiche e strategie dell’abitare. Progettare i territori non è soltanto un atto di pianificazione ma è anche un atto creativo, il tentativo di cogliere contraddizioni e trasformarle in relazioni, facendo attenzione a modificare, non lo spazio, ma la sua percezione.

Mass age, message, mess age”, performance, 2015 ph: Nadia Pugliese

Il suo ultimo progetto, “Silver Rights”, ha avuto una lunga incubazione. La ricerca è iniziata nel 2012 ed è proseguita poi sul campo nel 2020, interrotta però bruscamente dalla pandemia. In questi quasi 10 anni il concetto di sostenibilità si è aperto un varco nel velo di Maya, travolgendo il dibattito mainstream. Ciò è avvenuto anche nel settore della moda, strettamente legata al territorio dei Mapuche (tra le multinazionali e i nuovi grandi “latifondisti”, infatti, compare il gruppo Benetton; quest’ultimo è proprietario di circa 900mila ettari di terreno sul quale pascolano quasi 100mila pecore, anello fondamentale della supply chain aziendale).

La sua impressione è che ci siano stati cambiamenti significativi in questo lasso di tempo?

Purtroppo devo ammettere che la situazione non è migliorata affatto, anzi, è andata peggiorando. Proprio in questi giorni infatti si sono perpetrate nuove violenze nei territori che i Mapuche cercano faticosamente di recuperare. Le multinazionali, con la complicità dello Stato, continuano a inviare truppe poliziesche a monitorare le aree naturali destinate alla costruzione imminente di nuove infrastrutture che andranno inevitabilmente a devastare l’ecosistema e la biodiversità di questi territori, che i Mapuche cercano faticosamente di salvaguardare. Infatti, molte comunità indigene in America Latina si sono unite per denunciare questo fenomeno che racchiudono sotto il termine ’Terricidio’. Come loro stesse dichiarano, abbiamo composto questo termine per sintetizzare tutte le forme in cui il sistema uccide: ecocidio, femminicidio, genocidio, epistemicidio. Tutti i metodi per sopprimere la vita sulla terra”. Benetton è ad oggi il principale proprietario terriero in suolo argentino e dunque uno dei principali responsabili di questo processo. In quanto artista italiana mi sento in dovere di denunciare questa situazione, considerando anche che la strategia di comunicazione pubblicitaria della casa di moda è sempre stata incentrata sui valori di sostenibilità, etica e impegno sociale che non vengono applicati nella realtà.

“Snow Dragon”, arazzo (plastica riciclata e filati naturali), in collaborazione con Giovanni Bonotto, 2019 ph: Leonardo Morfini

Nonostante gli effetti del cambiamento climatico siano sotto gli occhi di tutti, sembra ancora esserci ritrosia nell’acquisire consapevolezza della propria impronta ecologica e a modificare le proprie abitudini.

Quanto crede sia efficace il linguaggio artistico nel contrastare la misconoscenza del problema ed educare le persone, e come può farlo?

Credo che l’arte possa avere un ruolo fondamentale nella vita, nella società, nella politica. Ognuno di noi ha bisogno di arte, e ognuno di noi guarda all’arte in funzione alle proprie sensibilità, necessità. Per me l’artista ha un ruolo attivo nella società, ponendosi, mediante strumenti differenti, domande condivise dalla collettività. Amo seguire le possibili diverse traduzioni che il mezzo artistico ci permette di sviluppare, rispondendo a temi di attualità con modalità insolite, ma non per questo meno efficaci di altre. L’importante è instillare il dubbio, spingere a porsi domande.

A quali progetti sta lavorando attualmente?

A parte le mostre in corso a Der TANK a Basilea e alla BIENALSUR in Argentina, a breve presenterò il mio ultimo video girato in Islanda al Museo MADRE di Napoli in una grande mostra intitolata Re-thinking Nature. Qui ho portato avanti le ricerche condotte sulla Via Polare della Seta, la nuova arteria di collegamento tra Asia ed Europa che dovrebbe attraversare l’Artico, non appena questo sarà sciolto a sufficienza. Sto poi portando a termine una nuova opera, risultato di un assegno di ricerca presso la Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano, all’interno del quale ho lavorato con il dipartimento di bio-chimica sull’analisi di pesticidi del suolo. Inoltre, a breve sarà pubblicata la mia prima monografia con il Museo del Novecento di Firenze, a seguito della mostra personale avvenuta nel 2020.

Per approfondire la conoscenza del lavoro di Elena Mazzi, vi invito caldamente a visitare il suo sito internet e perdervi nel suo portfolio: https://elenamazzi.com/works/

Per conoscere il lavoro di altri artisti che impegnano la propria arte al servizio della collettività: https://www.thegreensideofpink.com/design/arte/2021/marina-debris-linquinamento-dei-mari-rinasce-arte/

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